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Altruisti per natura o volontà?

6 Set 2012

Avrebbe potuto Macbeth evitare di macchiarsi del sangue dell’assassinio? Avrebbe potuto Otello amare la sua Desdemona senza essere geloso? E re Lear avrebbe potuto sperare nell’affetto delle proprie figlie? In Altre parole, con il loro agire questi eroi tragici affermano la propria volontà e autonomia o, al contrario, sono in balia di leggi biologiche cui non possono sottrarsi? Certo è che quando si parla di comportamento altruista nell’accezione dell’evoluzionismo classico, in biologia si pone un paradosso. L’altruista, infatti, nell’economia biologica paga sicuramente un costo in termini riproduttivi: occupandosi dell’altro dedica meno tempo a se stesso e alla sua missione di prolificazione rischiando, generazione dopo generazione, l’estinzione. William Donald Hamilton, biologo evoluzionista del XX secolo, così affermava: “Se la selezione naturale seguisse esclusivamente i modi del darwinismo classico le specie non presenterebbe comportamenti sociali che vadano al di là del semplice accoppiamento o delle cure parentali”. Partendo da questa considerazione Emanuele Coco (nella foto), scrittore e storico della scienza, docente all’Università degli Studi di Catania e di Firenze, affronta il tema dell’elemento fondante dell’altruismo aiutandosi con le tragedie shakespeariane ricche di personaggi paradigmatici.

Esiste una base biologica dell’altruismo?
Diciamo che non esiste un solo tipo di altruismo. Ne esistono tipi diversi. L’altruismo verso i parenti (aiuto solo i miei parenti) è stato teorizzato in certi gruppi animali. L’altruismo reciproco (aiuto te perché un giorno mi ricambierai il favore) è presente in molti organismi e in parte anche nell’uomo. L’uomo tuttavia è in grado di operare un altruismo del tutto disinteressato (ti aiuto anche se non sei un mio parente e pure se non mi renderai mai la cortesia). Questo può farlo sia per ragioni biologiche (si è evoluto tanto da diventare un animale con coscienza di sé e dei propri sentimenti) sia per via della sua evoluzione culturale. In altre parole l’altruismo dell’uomo non può essere “ridotto” solo alla meccanica biologica.Insomma, non è dovuto a un fantomatico “gene dell’altruismo”.

Quindi, si può escludere che dipenda dal suo Dna?
La vecchia idea secondo cui tutto ciò che costituisce l’organismo è scritto nei geni oggi è stata rivista. Nel caso del cervello poi (la sede delle nostre emozioni e dei nostri comportamenti sociali) l’organizzazione dipende da ragioni legate allo sviluppo individuale e psicologico del soggetto. L’idea che un comportamento complesso, l’altruismo, sia dovuto alla semplice espressione di un gene è una visione riduttiva che per altro non ha avuto alcuna conferma nel caso dell’uomo.

E parlando del mondo animale, in cui la complessità culturale che caratterizza la società umana viene a mancare, come fanno gli altruisti a non estinguersi?
Esistono animali il cui comportamento è molto più semplice di quello dell’uomo. Sono gli animali in cui la dimensione personale e psicologica è molto bassa o del tutto assente. Pensiamo alle vespe o alle api, per esempio. In questi casi, una teoria molto interessante prevede che i geni che determinano altruismo siano presenti anche nei parenti del soggetto disposto all’aiuto e che questo infatti tenda ad aiutare i parenti più che gli sconosciuti. Così, anche se perde l’occasione di riprodursi direttamente ottiene il vantaggio di aiutare i suoi parenti: il che dal punto di vista strettamente genetico è pur sempre un guadagno. Va detto, tuttavia, che il gene dell’altruismo è un concetto teorico anche in queste classi di animali in quanto non è stato mai scoperto.

Esistono però forme di altruismo diverse da quelle che prevedono di aiutare solo i parenti?
Sì, ne esistono disparate. Una delle più comuni e a noi familiari è quella dello scambio reciproco: io aiuto te perché un giorno tu potresti aiutare me. In natura, poi, esistono casi in cui gli animali sono persino in grado di ricordarsi chi ha prestato aiuto e chi no. In questo modo possono “punire” i fannulloni offrendo loro aiuto con meno facilità finché non capiscono che se vogliono essere aiutati anche loro devono fare la propria parte. Nel mio libro Egoisti, malvagi e generosi (Bruno Mondadori) ho provato a ricostruire la storia di questi diversi modi di essere altruisti, legando le teorie evoluzionistiche agli eroi tragici di Shakespeare.

Perché proprio Shakespeare?
Gli eroi del teatro shakespeariano, parlo degli eroi tragici, sono paradigmatici delle diverse condizioni del vivere umano: Macbeth rappresenta l’egoismo e la voglia di sopraffazione, Otello ci racconta un certo tipo di gelosia, Re Lear richiama il conflitto tra figli e genitori. Tutte queste situazioni comportamentali trovano una giustificazione nelle teorie evoluzionistiche del Novecento. Ma c’è un personaggio che invece fa eccezione.

Ovvero?
Iago, colui che compie il male per il male. Iago è quindi un malvagio. Farà impazzire Otello di gelosia e lo spingerà a uccidere sua moglie, la bella Desdemona. Ma la malvagità non è ammessa nel quadro della sola evoluzione per selezione naturale. Essa infatti comporta costi senza addurre vantaggi (altrimenti sarebbe egoismo, non malvagità) e dunque è sconveniente. Per questo gli animali possono essere egoisti, ma non malvagi.

In natura allora può esistere una cultura solidale?
Assolutamente sì. E nel caso dell’uomo può trattarsi di una solidarietà autentica, disinteressata. Proprio come nell’uomo esiste la malvagità, per le stesse ragioni possiamo avere anche gesti di altruismo genuino. Le ragioni sono dovute al fatto che i nostri comportamenti sociali sono dovuti a strutture che noi abbiamo sì ereditato attraverso un’evoluzione di tipo genetico (abbiamo tutti un sistema nervoso sviluppato), ma ciò che il nostro cervello produce è dovuto al nostro sviluppo personale, culturale e psicologico.

Quindi, parlando di volontariato, questo deriva da una predisposizione sociale o da un’eredità genetica?
È il frutto di entrambe le cose. Solo che nell’uomo l’elemento sociale (potremmo dire culturale) è molto più forte delle predisposizioni genetiche. Insomma, l’evoluzione ci ha regalato la libertà di poter scegliere attraverso la ragione e il dialogo i valori su cui costruire la nostra vita collettiva.

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