L’incidenza e la prevalenza della diagnosi di autismo o dello spettro autistico aumentano in tutto il mondo, Italia compresa, e un aumento dovuto alla maggiore attenzione al fenomeno e al miglioramento nella capacità di diagnosticare precocemente la sindrome può spiegare soltanto una parte del fenomeno stesso, mentre il resto è dovuto a una crescita reale.
Un fenomeno così imponente come l’autismo richiede la massima attenzione da parte della Pubblica Amministrazione, perché riduce di molto la qualità di vita delle persone che ne soffrono e delle loro famiglie e perché già ora esige un volume ingente di risorse, pari a circa 3 milioni di euro per ogni vita con autismo grave, che si ridurrebbe a un quarto se la persona venisse trattata con i mezzi consigliati dalla Linea Guida n. 21 dell’Istituto Superiore di Sanità, consistente in una delle strategie basate sull’educazione intensiva precoce mediata dai genitori e basata sull’Analisi Applicata del Comportamento (ABA).
Diagnosi precoce prima dei due anni e successivo immediato intervento intensivo per tre-quattro anni all’asilo e alla scuola dell’infanzia: i costi complessivi superano i 40.000 euro all’anno e sono quindi molto elevati, ma possono fare risparmiare milioni nel futuro, aumentando l’efficienza dell’intervento.
Passando ad un rapido sguardo sull’orizzonte educativo, si può notare come gli insegnanti per il sostegno di tutti i casi di disabilità sono circa 156.000, con un rapporto di 1,5 alunni per insegnante.
A livello nazionale il rapporto alunno/assistente è pari a 5,1, ma nel Mezzogiorno l’offerta è decisamente inferiore (6,5 alunni ogni assistente). Vi sono alcune Regioni dove questa figura non viene concessa per i disturbi generalizzati dello sviluppo, riservandola alle disabilità sensoriali, come se quelle sull’autonomia e la comunicazione non fossero disabilità dominanti in quei disturbi, anzi generalmente in forma ancora più grave che per i sensoriali.
Ma non basta perchè a preoccupare è l’elevato indice di insoddisfazione registrato: il 6% dei genitori del Sud, infatti, fanno ricorso ai TAR (Tribunali Amministrativi Regionali), per ottenere le ore di sostegno indicate dal PEI (Piano Educativo Individualizzato); nelle altre Regioni questa percentuale si abbassa al 3%, sempre troppo in un Paese avanzato. E tuttavia le percentuali si alzerebbero di molto, se si considerasse che la carenza maggiore non è la quantità di ore, ma la preparazione del personale e l’integrazione dei servizi pubblici fra loro e con i familiari.
Sono rari i ricorsi per ottenere personale specificamente qualificato, particolarmente necessario nei casi più gravi come quelli di autismo, personale necessario per assumere un ruolo di coordinamento e integrazione dei diversi servizi e della famiglia.
A fronte di tanto impegno da parte delle famiglie italiane e di tante spese pubbliche per insegnanti di sostegno, educatori, assistenti all’autonomia e comunicazione, neuropsichiatri infantili e altre figure sanitarie, i risultati sulla qualità di vita sono stati finora molto scarsi, come ha sottolineato una recente nota della Corte dei Conti.
La mancanza di formazione specifica e di integrazione fra servizi pubblici e famiglie è la causa principale di questo enorme spreco: nessun altro Paese del mondo dedica mediamente agli allievi con autismo 24 ore settimanali di rapporto 1 a 1 con l’operatore, considerando il periodo compreso fra l’inizio della scuola dell’infanzia e la fine della scuola media superiore. Negli ultimi cinque anni le ore di sostegno settimanali per tutti gli allievi con sostegno hanno subito un incremento del 14%, 1,7 ore in più a settimana per entrambi gli ordini scolastici.
La citata Linea Guida n. 21 dell’Istituto Superiore di Sanità fatica a trovare attuazione, nonostante sia stata riaffermata dalla Legge 134/15 (Disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie), dall’articolo 60 dei nuovi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) del 2017 e dalle Linee di indirizzo della Conferenza Unificata del 2012, aggiornate il 10 maggio 2018.
Studiosi ed esperti sono concordi nel promuovere e sostenere un piano di formazione permanente che miri a qualificare insieme i familiari e gli operatori che si occupano di questo problema, perché la premessa di una buona integrazione fra operatori è una formazione che si basa su di un’ipotesi comune e scientificamente fondata.
Per le persone con autismo occorre educazione speciale e la quantità di risorse umane disponibili in Italia permette di includere questi allievi in classi comuni e non speciali, purché gli addetti siano formati e coordinati da un solo “direttore d’orchestra”, un coordinatore psicopedagogico o case manager specializzato, che deve seguire il caso anche dopo la fine della scuola, per favorire l’inclusione nella società degli adulti, anche con la figura del job coach.
L’alta specializzazione del coordinatore è cruciale perché l’educazione abbia buone probabilità di successo, mentre per i genitori e gli operatori che devono eseguire le attività previste nel PEI (Piano Educativo Individualizzato) e poi in quello di vita è già sufficiente una preparazione teorica ridotta di una cinquantina di ore, come avviene negli Stati Uniti per le figure denominate “Tecnici Comportamentali” (RBT).
Venendo a tempi vicini, occorre ricordare quando venne avviato nel 2011, presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, un corso di perfezionamento e master a distanza sull’Analisi Applicata del Comportamento applicata all’autismo che negli anni ha visto cinquemila iscritti fra gli operatori e altrettanti uditori, quasi tutti genitori di figli con autismo.
Successivamente, nell’Anno Accademico 2012-2013, è nato, sempre all’Università di Modena e Reggio Emilia, il Master e Corso di perfezionamento su Autismo e disturbi dello sviluppo: basi teoriche e tecniche d’insegnamento comportamentali, finanziato dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, iniziativa che poi è stata ripresa da molte altre Università, dimostrando la necessità di formazione degli operatori della scuola, che di fronte a un allievo con autismo si trovano in grande difficoltà.
Dal canto suo, il Ministero ha iniziato il progetto Sportello Autismo, che ha ripreso in diverse Regioni l’esperienza delle scuole di Vicenza e delle convenzioni attuate dai Comuni di Imola e di Bologna con l’Associazione Pane e Cioccolata.
Questo progetto è fondato su tre attività: formazione, supervisione nella classe e sportello di consulenza aperto a insegnanti e familiari. In Emilia Romagna, per un anno scolastico, alcune decine di insegnanti – scelti in base ai titoli fra tutti gli interessati – hanno frequentato un corso di due giorni alla settimana presso la sede dell’Ufficio Scolastico Regionale e poi sono tornati nelle Province di competenza per svolgervi le tre attività indicate.
La figura del coordinatore è centrale per l’integrazione dei servizi. Per questo motivo nei Paesi avanzati si richiede che vi sia una certificazione internazionale, che per la strategia maggiormente diffusa nel mondo è il BCBA, concesso dal Behavior Analyst Certification Board, oppure da Dottorati di Ricerca specifici, oppure ancora da certificazioni rilasciate da Centri mondiali di eccellenza come quelli del Early Start Denver Model, strategia intensiva ideata e sperimentata per la prima infanzia.
Nonostante le Linee di Indirizzo del 2012 abbiano previsto la figura del coordinatore psicopedagogico specificamente preparato, che le Linee di Indirizzo del 2018 hanno rinominato come Case Manager, la cultura del nostro Paese fatica ad accettarne l’attuazione, qui come anche nel resto dei servizi pubblici. Si sconta in tal senso il difetto del nostro modello, che richiede molti anni di formazione iniziale e pochissima formazione permanente, dando per scontato che l’abilitazione alla professione sia una garanzia bastante per tutta la carriera.
L’integrazione fra genitori ed esperti della medicina ufficiale deve essere attuata anche in Italia, dove c’è disponibilità da parte di alcuni esperti che lavorano nel Servizio Sanitario Nazionale, nelle Università e nel CNR, e che richiedono soltanto le somme necessarie per le spese della ricerca, offrendo il loro lavoro senza costo aggiuntivo rispetto allo stipendio.
Non si tratta soltanto di raccogliere fondi per la ricerca della FIA (Fondazione Italiana per l’Autismo) nella Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo del 2 aprile, per colmare almeno in parte la grave carenza dell’impegno dello Stato. Si deve aggiungere un utilizzo reciproco e complementare degli interventi di genitori da una parte, esperti dall’altra. I genitori sono molto più liberi dei medici di tentare di percorrere strade nuove, in particolare nell’àmbito delle sostanze che non sono farmaci, ma soltanto integratori, alimenti speciali e diete.
Non va dimenticato che purtroppo la costituzione di una banca di materiale genetico, già finanziata all’Istituto Superiore di Sanità dall’allora ministra Livia Turco nel 2006, non ha mai visto la realizzazione, cosa che avrebbe potuto consentire l’effettuazione di un centinaio di ricerche genetiche ai ricercatori interessati all’autismo, senza bisogno di effettuare la raccolta del materiale per ogni singola ricerca.
E tuttavia l’autismo è una condizione biologica per cui – se la ricerca riuscirà a scoprire i meccanismi biologici che conducono ad esso – si potranno mettere a punto terapie mirate, che agiscano non superficialmente su un singolo sintomo, ma sul complesso dei disturbi, che spesso riguardano non solo l’autismo, ma anche la disabilità mentale in genere, il linguaggio, l’epilessia, l’insonnia, l’ipercinesia e i comportamenti dirompenti. Questa speranza deve tuttavia trovare adeguato impegno di mezzi perché non sia soltanto un’illusione.