Celle Aperte

26 Set 2022

Mercoledì 10 agosto le sezioni ordinarie del carcere di Rimini hanno aperto le porte a nuovi ospiti esterni.

Eccezionalmente, grazie al direttore d’istituto Maria Martone e al supporto dell’area educativa, del corpo di Polizia Penitenziaria e del cappellano d’Istituto Don Nevio, è stato possibile per una ventina di volontari da tempo impegnati all’interno della Casa Circondariale accedere alle celle e trascorrere una mattinata assieme ai detenuti.

Una giornata cui ci si preparava da tempo: un momento delicato ed emozionante, che ha visto il lavoro sinergico e la collaborazione di tutti: detenuti, operatori e volontari delle tante realtà di espressione diocesana che animano la casa circondariale e gli operatori del Terzo settore.

Riportiamo di seguito alcuni estratti delle testimonianze raccolte da Caritas Rimini, qui nella versione integrale.

Michela de Lisa

Quando è arrivato il momento di andar via, a fine giornata, ho provato una sensazione strana… mentre riprendevo il mio cellulare dall’armadietto dopo diverse ore, qualcuno esclamava: «Mi sembra di essere stato qui un mese!». Ritornare nel mondo ‘reale’, quello al di là della pesante porta color verde bosco, mi stava costando un po’ di fatica.

La giornata era volata via in tutta fretta ma, frattanto, il tempo si era come fermato.

Un po’ come succede, in fondo, a chi al di qua della pesante porta verde bosco ci abita. Il fuori e il dentro, con il loro scorrere del tempo cosi disallineato e i loro mezzi cosi dissonanti, si incontravano su quell’uscio. Un po’, pensavo, come deve succedere a chi, presto o tardi, smette di abitare quelle mura.

Ed io, dal mio canto, ero come rimasta incastrata lì: occhi negli occhi e orecchie nei cuori. Ho capito che, in quelle ore, in quelle mura che in parte alcuni di noi conoscono così bene, i nostri due scenari speculari si erano mescolati. Il mondo esterno con le sue remore o quello interno con le sue contraddizioni, seduti alla stessa tavola. Curiosità che diventa conoscenza e timore che si trasforma in consapevolezza.

Avevo gli occhi pieni di sguardi, le orecchie piene di storie e il cuore pieno di accoglienza (e lo stomaco pieno di piattoni deliziosi). E lì, sulla soglia del mondo esterno, io provavo un po’ di nostalgia. Fermavo tra i ricordi istantanee vivide di momenti intensi e preziosi come quando si ripone in libreria un libro concluso che ti ha tirato un pezzetto di cuore e da cui ormai è tempo di separarsi. Tornata a casa, ripensavo a due delle frasi che mi hanno colpito di più tra le tante donate da chi ci aveva accolto nella propria dimensione. Erano più o meno così: «oggi è stato come non essere in carcere» e «se ci fossero più giornate come questa, sarebbe tutto in discesa qui».

E mentre mi ripetevo le parole ascoltate mi accorgevo di quanto fossero incredibilmente affini a ciò che provavo io stessa, ospite per un giorno di un mondo altro che vive all’ombra di tutti noi, abitato da un loro che si contrappone a un noi. Perché, in fondo, sono giornate come quella vissuta il 10 agosto a liberarci. È la conoscenza ad affrancarci dalle sbarre del pregiudizio, è la consapevolezza a spezzare le catene della paura; sono la condivisione, il dialogo e la mutua comprensione ad unirci e a guarirci dalla sfiducia e dal risentimento che ci imprigionano.

… 

Chiara Fabbri

Da circa un mese sono una volontaria nella Casa Circondariale di Rimini e il 10 agosto ho preso parte a una giornata con i detenuti della Quinta Sezione – Braccio Corto, che detta così fa quasi sorridere. Non chiedetemi di raccontarvi cos’è stato salire quelle scale, oltrepassare quei cancelli, sentire voci, incontrare vite e incrociare sguardi. Credevo di non averne il coraggio. Non vi racconto l’odore, il calore, il cibo, le sbarre, le finestre schermate. Il peso di vite come tante, eppure così diverse: tanti corpi, troppe ossa, troppi umori. Cellule che si aggregano in universi di solitudine. I giorni – tanti giorni – sempre uguali. Non vi racconto i sorrisi bucati dal tempo, le parti fragili, i dubbi, il cercare di sopravvivere alle proprie crepe. Le aspettative infrante, i vuoti senza risposte, il tirare avanti nonostante i pesi che salgono e l’umore che scende.

È una strana materia quella di cui è composta il carcere: c’è un prima, un dopo, e c’è un dentro che dovrebbe preparare al fuori.

Come un bambino che si prepara a nascere o magari a rinascere. Come sono rinata io una volta uscita – dopo un solo giorno –, per tutto lo spazio che ho cercato di farmi entrare dentro, oltrepassato l’ultimo cancello che al mattino era stato il primo. Non posso nemmeno immaginare la sete di aria, luce e vita che può avere una persona quando esce dopo anni. Non chiedetemi se queste parole hanno un senso o raccontano una storia. Quando raccolgo parole dalle pieghe di un’esperienza spero solo che tutto si senta e riviva. Non sono brava a raccontare, ma posso dire che entrare in un carcere – un carcere di celle e di sbarre – lascia i lividi. Inciampi nella vita di qualcuno e ti rimane il segno.

Vorrei irrigare di sensatezza i pensieri e lasciar parlare la pelle per dirvi che ho ascoltato, accolto e ringraziato, ho contemplato, condiviso, mi sono lasciata attraversare…ho riso, vibrato e lasciato andare… sono rimasta in silenzio, senza finzioni. Mi sono sentita e mi sono commossa. Mi è piaciuto.
E sapevo che era bene cosi. In un luogo dove l’anima rimane a guardare, l’attenzione è l’unica preghiera che ho saputo recitare.

 

Ilaria Cicchetti

Entrare in carcere significa atterrare su un altro pianeta, con regole diverse, abitudini diverse, volti e voci diverse da quelle a cui siamo abituati. Perfino l’aria e il tempo hanno un diverso peso e una diversa scansione qui. Ho l’impressione che per comprendere a pieno il posto in cui mi trovo io debba imparare una nuova lingua: si parla di bracci, di sezioni, di celle, di domandina, di autorizzazioni, di burocrazia, di aria…

Il rumore metallico delle chiavi si lascia dietro l’eco di voci in lontananza, che risuonano e si rimescolano nel grande corridoio della sezione 1.

I detenuti escono dalle loro celle incuriositi. Ho cercato di tenere a mente quanto ci è stato detto un minuto prima: qui dentro siamo ospiti. Provare a pensare di essere a casa di qualcun altro è utile. Prima di entrare in una cella si chiede il permesso; prima di dare del tu ad una persona più anziana si chiede il consenso; prima di porre domande intime si deve raggiungere un rapporto confidenziale. Sono queste attenzioni a dare ordinarietà a una situazione che esula dall’ordinario, a restituire a un detenuto la dignità che a volte dimentica di possedere. Sono queste piccole forme di rispetto che fanno dei ragazzi della cella 3 e di me persone più vicine di quello che potrebbe sembrare.

Atmosfera di festa; a volte ho come l’impressione di ritornare al refettorio dove pranzavo alle elementari, caotico e pieno di gioia. Ci sediamo a tavola e la premura che i detenuti hanno nei nostri confronti è impressionante. C’è una grande lezione dietro ad una tavola apparecchiata a dovere nonostante il legno rotto della gamba; dietro all’assicurare i pochi sgabelli ai propri visitatori; dietro alla condivisione della propria vita con un estraneo.

Sono riuscita a captare due odori dominanti durante la giornata: tabacco e sapone. Questi due profumi mi dicono qualcosa: che qua dentro occorrono distrazioni, e che ricevere visite può spingere alla cura di sé e del proprio ambiente. Non credo si racconti abbastanza quanto sia importante mettere in dialogo il mondo del carcere con quello esterno. 

Paola Eletta Galasso

Un San Lorenzo speciale il mio 10 agosto 2022. Lo ricorderò sempre: atteso con trepidazione. Saremmo entrati nelle ‘case’ dei nostri amici detenuti. Alcuni già da noi conosciuti, perché partecipanti ai nostri incontri di lettura ‘dentro le pagine’ o al cineforum ‘Cinema d’evasione’, altri, volti nuovi.
L’incontro ‘fuori’ con gli altri volontari è fissato per le 8.45 e poi ‘dentro’ per iniziare la nostra giornata speciale. Dopo i corridoi già conosciuti, saliamo le scale ed entriamo nella sezione. E subito ci accoglie un ospite inappuntabile che ci introduce alle criticità della sezione (purtroppo proprio in quelle ore testimone di un episodio molto triste) e ci conduce nelle celle cercando di farci ‘scivolare’ oltre le situazioni difficili. Un ottimo padrone di casa che ci tiene comunque a fare una bella figura con i suoi invitati.

E così entriamo in una cella che scoprirò ospitare un detenuto dalla immensa cultura. Originario di uno stato della ex-Jugoslavia ci ha subito fatto vedere i suoi numerosissimi quaderni pieni di riflessioni, nozioni, appunti di geografia, di storia: fogli pieni di una bellissima calligrafia, pieni di vita, di sapere. E così a seguire, si avvicendano volti curiosi di conoscere questa novità nella loro altrimenti immobile giornata. Tanti volti, tante Persone, tanti uomini; ci sediamo tutti insieme nel corridoio e ci raccontiamo e si raccontano… come essersi sempre conosciuti.

Non manca il ‘momento caffè’: un caffè speciale con la ‘schiumetta e la scorza di limone’. Eccezionale! Quanti racconti, quanta dignità, mai un piangersi addosso. E poi è il momento del pranzo che consumiamo nella cella che ci ospita: un pranzo che si trasforma in un momento di condivisione di desideri, sogni, consigli di luoghi da visitare nelle proprie terre di origine, racconti di svariate esperienze lavorative. In breve, quasi dimentichi di essere in un carcere e diventa un pranzo tra vecchi amici.
E così, troppo velocemente, è passata la mattinata.

Il titolo che vorrei dare a questo incontro è GRAZIE. Un grazie unanime da parte dei detenuti a noi per aver reso ‘diversa’ e più viva la loro giornata e un grazie altrettanto collettivo da noi a loro per aver riempito il nostro cuore di emozioni. Bello sentir dire da molti di loro ‘Sarebbe da ripetere con più frequenza!’. Questa frase ha fatto crollare i nostri timori del giorno precedente.

 

 

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