Giovani e volontari. Incontro possibile?
Il volontariato sta cambiando. I giovani si attivano ma con modalità differenti da quelle pensate dagli adulti. Ecco perché i Centri di Servizio per il Volontariato dell’Emilia Romagna si stanno interrogando su questo cambio antropologico stimolando il Terzo settore ma anche le istituzioni. Una tappa di questa riflessione è l’incontro Gener-Azioni, a Bologna, del 26 ottobre 2024.
Stefano Laffi, ricercatore e sociologo, che condurrà questo appuntamento accompagnato da don Matteo Prosperini, direttore della Caritas di Bologna, ce ne anticipa alcuni contenuti.
Aumenta il volontariato spontaneo dei giovani e diminuisce quello organizzato degli adulti. Questa tendenza quali scenari prospetta?
È una tendenza abbastanza stabile almeno per come ragazzi e ragazze percepiscono il loro impegno nel volontariato, legato a situazioni in cui sentono la necessità del loro aiuto, del loro contributo. Sono lontani dai rituali delle associazioni, di fatto presidiate, create pensate in un’altra epoca, da persone oggi adulte e anziane. Lì si sentono ospiti, per questo è probabile che la loro presenza continuerà ad essere legata a quelle circostanze percepite come indispensabili e non sarà stabile nell’organizzazione. Agire, senza necessariamente appartenere.
In questo contesto che ruolo avranno i Csv?
Possono evidenziare con tempestività le opportunità di attivarsi. Faccio un paio di esempi di natura opposta: i Festival, dove l’azione è prevedibili e programmabile, o situazioni emergenziali, come sono state pandemia e alluvioni, che richiedono ai Csv di intercettare rapidamente le possibilità di incontro tra giovani e volontariato. Ciò vuole dire avere database di contatti pronti e aggiornati ma anche coltivare relazioni intermedie, penso alla scuola, per mettere rapidamente in contatto chi vuole dare una mano con la circostanza in cui è richiesta.
I giovani quindi vogliono esserci, ma cosa chiedono al volontariato?
Due cose. Per loro è un modo concreto per aiutare questo mondo affannato e infiammato dall’uomo. Sanno che c’è bisogno e vogliono contrastare i danni ambientali per promuovere condizioni migliori. Secondo, anche se non sempre lo riconoscono, per loro è un modo per scoprirsi. Il volontariato è un bagno di realtà, uno specchio che mette in evidenza capacità, curiosità e interessi, è quindi strumentale alla scoperta di sé stessi, per rivelarsi capaci di incidere nel mondo con abilità che altre attività non fanno emergere.
Sembra un paradosso. Il volontariato è motore di cambiamento, mentre i giovani sentono l’ingiustizia di un’epoca poco sostenibile e altruista e immaginano un mondo diverso ma con sfiducia e impotenza… Perché allora questi due mondi faticano a incontrarsi?
I ragazzi partecipano solo se capiscono che la loro presenza genera un impatto. Quindi, se le associazioni non evidenziano l’importanza di quell’azione non li agganceranno mai. Preferiscono fare altro. Ciò vuol dire che bisogna imparare a documentare e a raccontare, ma anche a dimostrare l’efficacia di quanto si fa, rendendo evidenti i benefici che un’azione collettiva implica. Solo a questo punto si diventa credibili e attrattivi, perché il tempo offerto è dato utilmente.
Inoltre, le associazioni devono imparare a chiedere ai giovani che incontrano cosa vorrebbero fare, cosa sentono più urgente. Non deve essere solo un’offerta di azione dentro forme già stabilite, ma anche l’invenzione di campi di intervento che loro sentono e le associazioni non hanno così evidenti. Va presa sul serio la loro voglia di cambiare le cose.
La palla passa quindi alle associazioni che si devono porre in ascolto delle loro istanze, ma come?
Il discorso è più complicato. Sono organizzazioni fortemente pensate e presidiate da adulti, con strutture, ruoli e rituali che non sono quelli dei mondi giovanili. La porta di ingresso quindi non può essere questa. Si entra da un’altra parte, quella della contingenza e non dell’appartenenza: ‘C’è questa necessità, ci aiutate per favore?’. Poi, evidentemente, se l’attivarsi restituisce il piacere di lavorare insieme agli altri, il contatto è facilitato.
Sappiamo infatti che i ragazzi cercano opportunità nella misura in cui queste sono medium di relazioni. Alla domanda: ‘Perché vai a scuola, al cinema, in biblioteca?’, non rispondono: ‘Per apprendere’, ma: ‘Perché ci sono i miei amici’. Le associazioni possono mettere in atto buone relazioni amicali e le cose funzionano meglio quando allestiscono questo clima di relazioni calde, fiduciose, accoglienti. Per i giovani diventa un’opportunità di scoprire quello che sanno fare. L’appartenenza verrà dopo, quando si sta bene, non come adesione iniziale.
Sottolineavi l’importanza di raccontarsi. Quali sono i messaggi, i canali che il volontariato può utilizzare?
Spesso si pone la questione: usiamo o no i social? O ci si immagina di chiamarli per fare il sito dell’associazione. La rappresentazione che abbiamo dei giovani è infatti che sia una generazione digitale, presente e attiva solo su quei canali. La mia sensazione è che non sia così. I ragazzi chiedono soprattutto agli adulti, ma anche ai propri pari, incontri dal vivo, situazioni reali, contatto. Vogliono mettere le mani nelle cose, non vederle solo rappresentate.
L’unica possibilità è quindi incontrarli, a scuola per esempio, offrendogli opportunità di intervento, ma con l’accortezza di poter provare prima prove. È un punto chiave. I giovani non sanno se saranno capaci, non sanno se quell’invito gli piacerà, ma se gli proponiamo di venire a provare per poi decidere… questa modalità leggera di sperimentazione, senza un impegno definito a priori, può stimolarli e rendere più efficace l’incontro. Oggi, non c’è più quella militanza, quella religione dell’appartenenza, quella idealità a monte, già pattuita nel momento in cui ci si avvicina, ma tutto è da capire e ancora da scoprire.
Il fatto che il volontariato li aiuti a scoprire le proprie capacità può aiutarli nella ricerca di lavoro? Può essere una chiave per avvicinarli al volontariato?
Lo diciamo da un po’: il volontariato è formazione di competenze prelavorative e, quindi, utile a inserirsi nel mondo del lavoro. C’è però una dinamica nuova: i giovani sono sempre meno e il mercato ha fame di forza lavoro, tanto che alcune posizioni restano vacanti. La mia sensazione è che non ci sia tanto, almeno in certe aree del Paese, la necessità di stratagemmi per riuscire, quasi di nascosto, ad avvicinarli al lavoro. Anzi. Il mercato cerca i giovani e non li trova. Di conseguenza, non comunicherei il volontariato in questa chiave. È vero, però, che il volontariato è bagno di realtà, volontà che diventa azione, intervento necessario e organizzazione di risorse per un risultato atteso. Questo vuol dire che, di fatto, è acquisizione di competenza, fa crescere e rivela idee e passioni. È poi relazioni positive, solidarietà e condivisione di una buona causa. Questo lo differenzia dal lavoro, più competitivo, dove il clima non è altrettanto improntato sui valori della collaborazione e, in genere, la buona causa è ascrivibile al profitto dell’azienda. Nel mondo del volontariato c’è qualcosa di più e di diverso, ecco perché starei su un’altra chiave, quella della crescita personale e delle buone relazioni, insomma di agire per il bene in amicizia.