Un ambiente per le cure palliative in Camerun. È l’ultimo traguardo raggiunto da Maria Negretto, laica consacrata che da anni vive e opera in Africa.
“Per gli africani – spiega la missionaria – è difficile comprendere il senso dell’accompagnamento del malato terminale. La credenza è che la malattia sia l’espiazione di un peccato grave commesso dalla famiglia dell’infermo. La persona viene quindi esclusa e isolata dalla comunità”.
E proprio lì è andata Maria Negretto a cercare i “suoi malati”, come sono soliti definirli i collaboratori dell’infermiera perché è la sola ad avere il coraggio di prestare loro le cure sanitarie necessaire. Se per alcune malattie come l’Aids si è superato lo stigma, per altre come l’epilessia la paura di un contagio al semplice contatto fisico permane. I malati più gravi, inoltre, sono nascosti dalla famiglia perché si teme la diffamazione del nucleo sul quale è ricaduta “l’ira divina”.
Il Centro Sanitario di Baleng-Lafè, sobborgo di Bafoussam, è stato realizzato con l’aiuto di amici, di colleghi riminesi e dell’associazione di volontariato Maria Negretto. Inaugurato nel 1998, oggi vanta uno dei laboratori di analisi per le malattie ordinarie più attrezzati della regione, un acquedotto indispensabile per l’igiene dei pazienti, una cucina per la loro dieta e il nuovo “reparto” di cure palliative per i malati terminali di Aids e per malati a patologia cronica.
“Il desiderio di aprire un ambiente per accompagnare e sostenere il malato affetto da patologie evolutive e irreversibili nasce dal profondo rispetto per la dignità umana. La vera assistenza infermieristica parte dall’ascolto del malato, dal contatto umano. Quella dell’infermiere è una vocazione e una missione di accompagnamento”.
Con queste parole la missionaria lancia l’appello per la ricerca di personale specializzato in grado di formare gli operatori locali e disponibile per un’esperienza di volontariato di lungo-breve periodo.
Un percorso iniziato 38 anni fa quello di Maria, trasferitasi in Camerun per aiutare “chi ha più bisogno”. E in questi trent’anni molte sono state le battaglie combattute e vinte dall’esile laica missionaria. Campagne di informazione e di igiene per le donne partorienti; di sensibilizzazione per curare i malati di lebbra; di promozione delle vaccinazioni; di diffusione di una rete idrica per l’acqua potabile nelle carceri. Sono solo alcune delle iniziative che l’hanno impegnata in questi anni nel continente nero.
“L’Africa mi ha insegnato ad amare la vita. Appena arrivata sono stata accolta benevolmente. Gli africani sono un popolo ospitale ma che ti guarda con sospetto, solo dopo 2-3 anni ti danno veramente fiducia”.
Inutile sottolineare che il sentimento di diffidenza nasce da anni di dominazione straniera, non trascurabile però l’alta percentuale di corruzione che ancora oggi permane nel paese, in particolare nel settore sanitario. Importante a questo proposito l’intervento della Chiesa cattolica che ha dato vita a un sistema sanitario parallelo rispetto a quello statale in cui l’accento è posto sulla formazione del personale per evitare la dispersione delle risorse umane ed economiche.
“Un medico coordinatore nazionale della Chiesa cattolica rappresenta il lavoro della 26 diocesi del Camerun a livello statale. Ogni diocesi ha poi il suo medico che coordina i vari centri e ne forma il personale. Questo coordinamento garantisce la continuità del lavoro svolto. Io sono serena perché so che un domani il mio operato sarà proseguito da qualcun altro che nel frattempo ho avuto l’opportunità di formare, anche moralmente”.