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Le magie di Smemorina

11 Dic 2015

Nasce il progetto “Mi prendo cura di me… Magie di Smemorina”, per le Unità Operative di Pediatria (Servizio di Oncoematologia Pediatrica) e di Terapia Intensiva Neonatale (Tin) dell’ospedale Infermi di Rimini. L’iniziativa mira a sostenere un riequilibrio psicofisico nei piccoli pazienti e nei loro genitori, cercando di creare un ambiente il più possibile informale in ospedale con momenti piacevoli e di gioco.

In concretro, parrucchiere ed estetiste, iscritte all’Arop (l’associazione di volontariato che affianca e sostiene l’Oncoematologia Pediatrica di Rimini), indosseranno le vesti della fata Smemorina, visitando due volte al mese i bambini ricoverati. Come la madrina di Cenerentola, si prenderanno cura di loro, tra ombretti, matite, cappelli e parrucche, per aiutarli a ritrovare un rapporto armonico con il proprio corpo trasformato dalla malattia.

Mentre le loro mamme, travolte dalla sofferenza, potranno riscorpire la propria femminilità: “Essere mamma di un bambino oncologico – racconta A. mamma di P. 5 anni – è essere mamma due volte: dargli la vita e lottare a fianco a lui per ritrovarla…”.

Gli incontri si svolgeranno due mercoledì al mese dalle 15 alle 17 nel Day Hospital oncoematologico e nell’alloggio mamme dei piccoli pretermine.

Grazie alla collaborazione nata con questo progetto tra Arop e il salone Prima Fila Consulenti di Bellezza di Coriano, sono stati donati anche 300 libri per bambini e ragazzi all’Unità Operativa.

Perché il progetto: stati d’animo di un bimbo malato di cancro

Il bambino affetto da cancro vede il suo corpo cambiare prima con il posizionamento del catetere venoso centrale, poi lo vede crescere innaturalmente, “a dismisura”, a causa del cortisone. Spesso i bambini usano nei riguardi di questo fenomeno la seguente espressione: “Sono diventato una palla… non riesco quasi a vedermi gli occhi…“. Aumenta la stanchezza, compare sovente il vomito e la caduta dei capelli. 

In particolare quest’ultima è vissuta dai piccoli e dai genitori come il “marchio” della malattia, che alimenta lo sviluppo del senso di diversità e, a sua volta rafforza il senso di solitudine e, con esso, la paura di non essere compresi, di venire alienati, di diventare “spettatori passivi di tutto ciò che accade sul loro corpo”.

Il bambino malato diventa diverso dagli altri, anche perchè vengono diminuite le possibilità di comunicazione e di confronto: non si frequentano più i luoghi come la scuola, i campi di gioco, gli amici. Il ricovero, modifica le abitudini, riduce gli spazi, diminuisce le attività, a volte le azzera completamente; la vita si svolge fra ospedale e casa.

Un profondo cambiamento avviene anche nei genitori che, spesso pervasi da un senso di impotenza, assistono passivi alla trasformazione dei lori figli. La malattia minaccia in modo significativo la loro capacità genitoriale. “Adesso è malato non posso rimproverarlo” . “Non lo riconosco più, suo fratellino ha detto di volere il fratello di prima, così non gli piace”.

La malattia oncologica minaccia tutto il sistema famiglia e soprattutto minaccia l’integrità del sé, sia nei piccoli pazienti sia nei genitori. Sovente il genitore abbandona la cura di sé “Mamma come sei brutta, perchè non ti trucchi più…”. Avvicinare bimbi e genitori in quest’ottica rappresenta dunque un sostengo importante.

 

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