Sono nati e cresciuti in Italia, parlano italiano e studiano Dante e Manzoni, sono amici dei nostri figli, figli dei nostri amici, dei nostri vicini, dei nostri colleghi, delle persone che lavorano per noi e con noi. Aumentano a vista d’occhio e il trend è in crescita. Ma non sono italiani. Sono i ragazzi stranieri di seconda generazione, che hanno visto la luce in suolo italiano da genitori con cittadinanza straniera, i tanti migranti che contribuiscono alla formazione di gran parte del nostro Pil ma ai quali il principio dello ius sanguinis, cui fa riferimento la legislazione sulla cittadinanza, impedisce di far diventare italiani i loro figli. Non prima del compimento del 18esimo anno di età, perlomeno, quando però scatta l’obbligo di fare domanda entro un anno, pena la perdita definitiva di ogni possibilità di riconoscimento della cittadinanza. Norma che moltissimi immigrati non conoscono e ha fatto diventare illegali dalla mattina alla sera moltissimi ignari neo maggiorenni, costretti, per restare in Italia, a conquistare un permesso di soggiorno per lavoro o per studio, o a inventarsi (chi può) escamotage con i rapporti di parentela. La solita precarietà, insomma, che crea umiliazione e non contribuisce certo all’integrazione. Anche quando la richiesta di cittadinanza va a buon fine e la new entry giura sulla Costituzione fedeltà alla Repubblica, ma non prima di aver presentato all’ufficio di stato civile dei Comuni, insieme a vari altri documenti, una ricevuta di versamento di 200 curo. Anche il presidente del Senato Grasso ha messo in guardia dal “rischio di vedere una gran quantità di donne venire in Italia a partorire solo per dare la cittadinanza ai propri figli” e invitato piuttosto a “uno ius soli temperato dallo ius culturae”. E c’è chi chiede di considerare forme di gradualità nell’introduzione del nuovo diritto, che tengano conto, oltre che del tempo già trascorso in Italia, anche dell’effettivo grado di integrazione (non solo linguistica) delle famiglie, e cioè a prevedere che il riconoscimento di cittadinanza ai figli non sia automatico, ma subordinato a una richiesta dei genitori. Variabili che si tratta ora di capire in che misura verranno recepiti nel decreto del ministro Kyenge. Questa la storia di Charo, 24enne nata in Italia da genitori filippini