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Nessuno è cattivo per sempre

13 Ott 2025

Ci sono tante forme di ricchezza. Per Pierfrancesco Bruno, presidente di “Nessuno è cattivo per sempre”, la sua sono i suoi affetti, la sua casa, la tranquillità economica di pensionato… cose semplici ma che nascondono valori profondi che vuole condividere con gli altri e, sopratutto, con chi si rende conto non ha avuto la stessa fortuna. Ecco la sua storia di volontario.

Nel 2021 ho iniziato a organizzare eventi nella Casa Circondariale per creare momenti di leggerezza, stimolato dalla comandante, che avevo conosciuto in Avis come donatrice di sangue. È stata una grande scoperta. Dialogando con i detenuti non ho nascosto il fatto che la gente ha nei loro confronti un’opinione negativa, allora mi è stato chiesto: ‘Come facciamo a spiegare che siamo essere umani e persone?’. Queste semplici parole mi hanno fatto riflettere: i detenuti hanno sentimenti, rapporti umani, relazioni che si allentano a seguito della detenzione, soffrono per il distacco, hanno tante paure legate alle possibilità di costruirsi un futuro.

Mi stavano chiedendo una mano per riscattarsi, perché non dargliela?

Così mi è venuta l’idea di ‘Nessuno è cattivo per sempre’: in ognuno di noi, per quanti errori si siano commessi, c’è del buono per ricostruire un percorso di legalità. È difficile per noi volontari spiegare che il detenuto non va giudicato, lo è già stato e sconta per questo una pena. Sappiamo, però, che i detenuti inseriti in un programma di riabilitazione hanno una recidiva bassissima di commettere reati rispetto a chi non è stato seguito, è quindi un interesse anche della società civile.

Come associazione stiamo ricevendo molte adesioni: chi si è attivato per raccogliere beni di prima necessità – ce ne è sempre bisogno –, chi vuole partecipare a percorsi di riabilitazione perché ha competenze in questo ambito… Mi ha contattato anche un regista teatrale che si occupa di comunicazione non violenta, uno dei contenuti dei percorsi di riabilitazione dei detenuti.

Tra le attività che proponiamo in carcere c’è stato un laboratorio artigianale per la realizzazione di icone sacre, che richiede molta attenzione e concentrazione, un primo passo per ricostruire la propria identità attraverso il recupero dell’autostima: le persone sono soddisfatte di quello che riescono a fare… Manipolare immagine sacre stimola anche l’introspezione: li vedo concentrati e forse in quel momento a modo loro pregano. Un giorno un detenuto mi ha confessato che il suo più grande rammarico è stato non poter chiedere scusa al padre, un dolore che si portava dentro… Aveva già iniziato questo lavoro interiore fondamentale per un recupero sociale, perché la consapevolezza di aver recato dolore a un proprio caro è il punto di partenza.

In questo momento stiamo poi costruendo una serie di relazioni esterne. In particolare stiamo cercando di stipulare convenzioni con strutture pubbliche e private, in modo che i detenuti possano reinserirsi socialmente, magari iniziando con il volontariato. Spesso i ragazzi mi chiedono di farlo con persone anziane o disabili, riconoscono probabilmente di fare parte dell’ultimo anello della catena sociale, della sofferenza e del dolore, da lì vogliono risalire aiutando chi si trova in uno stato di difficoltà, un po’ come loro. È un modo utile e necessario per risalire la china. C’è la voglia di ritornare a essere umani alla pari degli altri. Con il Tribunale, invece, stiamo cercando di capire come attivare percorsi alternativi alla detenzione, come ad esempio i lavori socialmente utili.

Ci stiamo muovendo poi nelle scuole, dove lavoriamo sul tema della legalità: i ragazzi non ne hanno percezione, è come se non sapessero differenziare tra reale e virtuale, ciò che è virtuale per loro si può fare anche nel reale. Ci sono invece dei comportamenti errati che innescano una catena del dolore (mobbing, maschilismo…) che coinvolge tantissime persone. Sono comportamenti lesivi per chi li subisce ma anche per tutti coloro che fanno parte della cerchia degli affetti… Faccio un esempio concreto. Un giorno mi sono trovato in un parco dove c’erano tre ragazzi che ne stavano aggredendo un quarto, isolato. Sono intervenuto separandoli. Ho chiesto ai tre il perché e uno mi ha risposto: ‘Ci ha infamato nei social’. Mi ha fatto capire che i social sono diventati un terreno di scontro non controllato da nessuno, dove si dice di tutto e di più… un dire, che si trasforma in un infamare, scatenando reazioni che possono sfociare nella violenza. Bisogna parlare con i ragazzi di questi comportamenti devianti che hanno conseguenze sicuramente negative e, in carcere, troviamo tante testimonianze di giovani che possono raccontare la loro storia.

Tornando alle mie motivazioni, faccio volontariato da tanto tempo, sono stato in Iraq, ho collaborato con Gino Strada, non ho problemi economici o famigliari, ho moglie, figli e nipoti, ho la casa di proprietà e sono pensionato… questi valori, che mi fanno vivere sereno, sono una ricchezza che va condivisa con gli altri. Non posso tenere per me questa fortuna di avere affetti, di avere un reddito sicuro… restituire questa ricchezza mi fa sentire in maniera attiva un essere umano, mi dà serenità e tranquillità. Quello che dico a chi si avvicina all’associazione è: condividere il proprio tempo con progetti, idee, vicinanza e affetto è un modo per aiutare gli altri e sé stessi, tutto ti torna indietro come un boomerang. Per definire il mio volontariato uso una similitudine: il volontariato è come le sabbie mobili, più ci stai dentro più ti immergi, non si finisce mai, ma al contrario delle sabbie mobili, in questo bagno ti senti bene.

Chiudo con un invito: ‘Nessuno è cattivo per sempre’ non è un’associazione rivolta solo ai detenuti o ex detenuti, ma a chiunque pensi di aver commesso un torto a qualcuno e voglia rimediare… a persone che hanno fatto soffrire figli, famigliari, amici… e sentono il bisogno di chiedere scusa e di farsi perdonare mettendosi in gioco per riparare”.

Per entrare in contatto con l’associazione scrivere a: nessunoecattivopsodv@virgilio.it

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