La crisi economica arriva a “mordere” pesantemente anche il sistema dei Centri di servizio al volontariato, ci impone di ragionare su qualcosa di molto diverso. Oggi siamo di fronte al rischio di una implosione del sistema provocata dal brusco ridimensionamento delle risorse a disposizione. Di fronte a questo rischio penso che sia necessario produrre un forte sforzo di coesione, pur nella chiarezza delle posizioni e responsabilità diverse. In questa prospettiva è necessario che ognuno chiarisca bene la sua posizione rispetto al problema, affinché non vi siano dubbi e fraintendimenti. Per quanto ci riguarda (parlo naturalmente a nome dei Comitati di gestione) il sistema dei Csv va difeso. Va difeso poiché esso, al di là di possibili valutazioni critiche, costituisce nel suo insieme una struttura portante del volontariato italiano. Credo che sia fondamentale per il sistema riuscire ad esprimere una capacità di lettura critica delle esperienze sin qui realizzate, valorizzando ed estendendo quelle migliori, ma anche sapendo cogliere le fondate istanze di riforma e avviando in quei casi opportuni percorsi di riorganizzazione. Non è mia pretesa fornire delle ricette. Voglio però almeno citare alcuni temi cruciali su cui aprire un confronto serio e urgente: 1. Il numero dei Csv presenti in ciascuna regione. Si tratta di capire se le scelte fatte quindici anni fa (con soluzioni diverse da regione a regione) sono ancora rispondenti alle esigenze del momento e congruenti con la nuova situazione di scarsità finanziaria creatasi. Rientra naturalmente in questo alveo anche la riflessione sulla possibilità di aumentare le integrazioni operative e le sinergie tra i Csv che operano nello stesso contesto regionale. 2. La capacità dei Csv di interloquire compiutamente con tutte le espressioni del volontariato presenti sul territorio. Si tratta di riaffermare il principio universalistico sancito dalla legge 266 del 91, che assegna ai Csv il compito di sostenere e qualificare tutte le associazioni di volontariato, iscritte e non iscritte, grandi e piccole, a qualunque ispirazione ideologica appartengano. È necessario assicurare condizioni di massima apertura dei Centri, sia sul piano della loro base associativa sia in termini di accesso ai servizi. 3. La capacità d’integrazione con le grandi istanze pubbliche e private, titolari di politiche territoriali nei campi di intervento dei Csv. Ci si deve interrogare per capire se e come i Csv riescono a collocare il loro intervento in un quadro di coerenza con quello degli enti pubblici territoriali e delle principali espressioni del privato sociale. Un particolare sguardo va rivolto al mondo delle fondazioni di origine bancaria, con le quali non si sono ancora sviluppati soddisfacenti modalità di collaborazione. 4. La definizione di precisi confini di ruolo rispetto all’attività propria delle organizzazioni di volontariato. Si tratta di focalizzare bene il delicato rapporto tra il Csv e le organizzazioni di volontariato, avendo cura di evitare improprie forme di rappresentanza, sostituzione o competizione dell’uno rispetto alle altre. 5. L’appropriato dimensionamento degli organici. L’argomento rientra nel più generale tema dell’efficienza delle strutture operative. Ma ne rappresenta una sfaccettatura particolarmente importante e delicata, e quindi penso debba essere affrontato in modo “dedicato”. Il ragionamento va impostato con un’ottica ampia, interrogandosi non solo sulla compatibilità tra i “costi fissi” e le risorse oggi a disposizione, ma anche sui modelli operativi e di relazione attraverso cui i Csv assolvono la propria missione. 6. L’adozione di modelli di assoluta trasparenza e forte grado di integrazione sia a livello regionale che nazionale. È necessario puntare con decisione alla compiuta realizzazione del disegno di omogeneizzazione dei sistemi regionali da tempo iniziato, allo scopo di “universalizzare” modelli di programmazione e rendicontazione economica e sociale con elevato profilo di trasparenza e comparabilità nella stessa regione e tra regioni differenti.