Coabitare è come ritrovarsi il mondo in casa. Questo emerge dalle parole di Paola Mazza, volontaria di Agevolando. Qui ha conosciuto Aman, un ragazzo afghano con cui si è instaurato un forte legame, facendo scoprire a Paola e al marito, ma anche al loro piccolo, come la parola famiglia possa abbracciare una dimensione più ampia.
Il suo racconto mostra che, per cambiare le cose, a volte basta crederci. Mentre per Agevolando e la cooperativa Il Millepiedi è un’occasione per far conoscere le potenzialità del progetto CondiViviamo che, attraverso un corso gratuito (il 21, 28 ottobre e 4 novembre), vuole avvicinare chi fosse interessato all’accoglienza di ragazzi in uscita da percorsi fuori famiglia, per un periodo limitato di tempo.
Perché hai iniziato a fare volontariato?
Ho conosciuto Agevolando in un periodo in cui ero riuscita ritagliare del tempo per me e questo significava fare una cosa che mi faceva stare bene. Mi piaceva l’idea di stare con giovani tra i 18 anni e 26 anni. Si conciliava con un percorso per famiglie affidatarie fatto con mio marito, mi sembrava di dare continuità a quella esperienza. Un desiderio che ancora oggi rimane in me latente. Avevo poi avuto Santiago da poco e per me era un momento per uscire dalla dimensione ‘mamma’. Così nel mio giorno libero dal lavoro, una volta a settimana, ho cominciato ad andare al centro giovani.
Come è nata l’esperienza di coabitazione con Aman?
In associazione ho conosciuto diversi giovani e ho sempre pensato che, se qualcuno avesse avuto bisogno, io e la mia famiglia ci saremmo stati. Ed è andata così. Aman mi ha chiamato in un momento in cui forse era più in difficoltà, i 18 anni sono un passaggio delicato. Aveva il ricordo della vita in famiglia e molta mancanza, ma è anche vero che ritrovarsi a quell’età a vivere in un nuovo nucleo familiare vuol dire fare i conti con tanti limiti a cui non si era più abituati. È rimasto 1 anno e mezzo. È stato bello, in certi momenti sembrava che avessimo vissuto insieme tutta la vita. Aman è straordinario e si è creato subito un bel clima. Per lui era ritrovarsi di nuovo in ‘casa’ con i giochi da fare con il fratellino più piccolo. Con Santiago giocava da matti, tra loro si chiamano ‘fratello’. Per noi c’era l’entusiasmo di conoscere nuove persone, di aprirsi a nuove culture. A me piace viaggiare ed è stato un po’ come avere tutti i giorni uno spaccato su un mondo diverso e per lui lo stesso.
Come si è sviluppata la convivenza?
È divertente ricordare cosa succedeva in casa. Quando è arrivato ci siamo messi a coltivare il peperoncino. Il ripiano delle spezie è diventato gigante… Mio figlio iniziava a parlare e alcune parole le storpiava lui e alcune Aman, e queste cose ci facevano ridere tutti insieme. Aman conosce bene l’italiano, ma a volte mescolava le parole con il francese perché quando è venuto da noi era stato da poco in Francia… È rimasto nella storia il ‘sugo al brasilico’, ma anche ‘ho fatto un marcello’ di Santiago, che ogni tanto diceva anche parole in afgano come ‘salamalecum’.
L’importante è che si affronti la convivenza con apertura e senza pregiudizi. Non posso dire che non ci siano stati momenti difficili, noi abbiamo vissuto insieme anche la quarantena, ma rimangono solo i ricordi belli.
E adesso?
Con Aman abbiamo un ottimo rapporto: mi cerca nei momenti in cui deve prendere delle decisioni e mi chiama ‘mami’. Siamo rimasti un punto di riferimento. Ora ha preso una casa e lavora come traduttore, gli piace molto. Per lui è un periodo difficile, la situazione che vive la sua famiglia in Afghanistan e l’aiuto che può dare è ancora di più una questione di vita e di morte. Penso che in questo la nostra presenza sia importante.
Come siete cambiati?
È un’esperienza che come famiglia e come coppia ti fortifica: lo abbiamo fatto insieme. È un motivo di unione e di orgoglio perché è una cosa bella che un domani sappiamo di poter ripetere. È stato come rendere possibile quello che pensavi fosse poco probabile. Per Santiago, seppur piccolino, è stato un modo per venire a contatto con concetti complessi, adesso si fa delle domande: la guerra, le persone che si spostano, la possibilità di chiamare fratello chi non lo è per sangue. Abbiamo ampliato i nostri confini, soprattutto nella vita adulta dove far esperienze nuove è complicato. Mentre Aman era con noi, avevo la sensazione di dover allargare i miei pensieri, cosa che non è così comune nella quotidianità: ci ha insegnato che si può ragionare in maniera diversa. Poi avere una persona in più nella propria vita è sempre bello.
Paola conclude la sua intervista con la speranza che questo racconto possa mostrare come vicino e possibile il desiderio che hanno alcuni di accogliere.
Il progetto CondiViviamo è realizzato grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini e alla collaborazione con VolontaRomagna. Per informazioni: tel. 349 2352679 – condiviviamo@gmail.com