Si torna a giocare
“Nonno Banter, ma quando torni? Qui i bimbi ti cercano”. Sono voci di adulti che chiamano l’associazione di Meldola (in provincia di Forlì Cesena), che invita le famiglie a riscoprire il gusto di stare insieme divertendosi con i giochi in legno della tradizione. “Ho dei nipoti, quando giocavo con loro li vedevo sorridere e, mi sono detto, sarebbe bello coinvolgere anche altri bimbi – spiega Walter Turci, presidente e fondatore di Nonno Banter –, perché non tutti hanno adulti che giocano con loro. Sono abituati a stare da soli con giocattoli preconfezionati. Il gioco in legno, invece, si fa insieme e ti costringe a uscire fuori. Anche gli adulti spesso abbandonano il cellulare perché si ricordano di quando erano piccoli e si uniscono ai figli. I bimbi mi dicono: ‘Nonno Banter come fai ad avere tanta fantasia e a costruire tutti questi giochi?’. Forse li abbiamo invogliati a creare qualcosa, magari con il cartone, quando sono a casa, allontanandoli per un po’ dagli schermi”.
Dal Covid, infatti, si è registrata una tendenza, in particolare nei giovani ma anche negli adulti, a isolarsi prediligendo rapporti virtuali senza dubbio deficitari, tramite computer o cellullare. “L’assenza del corpo nella relazione – spiega Elena Bazzocchi, medico di Medicina generale – porta all’eliminazione del linguaggio non verbale, che è una buona percentuale della comunicazione. C’è un appiattimento dei conflitti: nel web non frequento la persona nella sua quotidianità, scoprendo di lei anche quello che mi dà fastidio e imparando ad andare oltre per mantenere il valore amicale. È una relazione mutilata e parziale. Spesso i familiari lo sottovalutano: un amico via web comporta comunque una forma di isolamento”.
Un aspetto che il volontariato è riuscito a cogliere tra i primi. cercando occasioni per riportare i giovani in contesti di relazione non virtuale. Una risposta semplice ma efficace è sicuramente imparare di nuovo a giocare insieme, stimolando la fantasia che giochi preconfezionati rischiano di spegnere. Non solo, come sottolinea Nonno Banter: “Un gioco della tradizione si costruisce senza plastica, con quello che si ha, materiali di recupero e naturali. Siamo veramente ecologici!”.
Sul tema torna anche Renzo Laporta, presidente dell’associazione Lucertola Ludens di Ravenna, mettendo l’accento sul valore inclusivo.
“Ci muoviamo tra accessibilità e autonomia – spiega –. Un gioco di costruzione non si esaurisce nel piacere di assemblare ma serve per giocare con gli altri. La direzione è tornare a una materializzazione dell’esperienza ludica, per riavere il corpo protagonista nell’esercitare competenze manuali e nella relazione con gli altri e l’ambiente… È importante creare contesti inclusivi. In una scuola, dove tutti volevano giocare a nascondino, una bimba, con la gamba ingessata, si era autoesclusa dicendo: ‘Io sto a guardare’. Ho chiesto come potevamo fare, i bimbi hanno trovato subito la risposta: un’amichetta avrebbe corso al suo posto per fare tana. Il gruppo nel gioco è una risorsa se stimolato”.
Rispetto all’ambiente, Renzo sottolinea l’importanza, per i bambini, di riappropriarsi dei luoghi, uscendo dai recinti che gli adulti hanno loro destinato: “Il gioco deve tornare presenza negli spazi pubblici, spesso banditi perché pericolosi. Ci sono strade dove è ancora possibile giocare, soprattutto nei quartieri residenziali. Molti bimbi vivono in case piccole con spazi ristretti e finiscono facilmente con il trascorrere il tempo online. I videogiochi sono un mercato potente perché non hanno competitori, nessuno bussa più alla porta per andare a giocare in strada…”.
Il gioco riveste un ruolo importante anche per gli adulti, non solo perché mette in relazione generazioni diverse allo stesso tavolo, ma perché può avere anche un valore sociale e terapeutico. Raffaella Giordano, presidente di The Rainbow Players, insieme ad altri volontari appassionati di giochi da tavolo, ha fondato l’associazione riminese per condividere e divulgare la passione per i boardgames, con lo scopo di farne uno strumento sociale.
“Non a caso i boardgames vengono definiti ‘giochi di società’. Spesso i nonni – racconta – quando li facciamo giocare ad un boardgame, fanno delle foto della scatola per poi riproporre quel gioco ai nipoti. I giovani all’inizio possono essere scettici, poi però si divertono. Un gioco come Telesketch è uno spasso: è un telefono senza fili fatto di disegni e parole scritte su un taccuino che ci si passa, si ride da non poterne più: per esempio, la parola iniziale ‘arrendersi’ alla fine del giro magari diventa ‘passamontagna’! Poi ci sono giochi logici, cooperativi e di strategia, che sviluppano altre competenze. Oltre a puntare ai giovani, fra i nostri obiettivi c’è quello di coinvolgere realtà differenti: abbiamo già fatto qualcosa con giovani con disabilità e anziani, ora puntiamo anche a chi affronta percorsi terapeutici difficili (per esempio bambini e ragazzi nei reparti oncologici degli ospedali), anziani nelle Case di Riposo ed anche chi soffre di ludopatia, per allontanarlo dal gioco d’azzardo dando un’alternativa che diverte e aggrega le persone anziché rovinarle”.