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“Donna e nera, mi fanno sentire colpevole”

28 Ago 2013

“In questi ultimi giorni mi hanno fatto sentire colpevole, perché sono nera, perché sono donna, perché sono nata all’estero. Colpevole perché ho studiato, perché ho rotto il tabù di non ri spettare gli stereotipi e colpevole di tante altre cose. Non dobbiamo lasciare che questi insulti e queste provocazioni rimangano impuniti e passino come routine”. Così il ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge è tornata ieri, inaugurando la festa del Pd di Modena, la sua città (“qui mi sento a casa”), sulle accuse che alcuni esponenti della Lega e non solo le hanno rivolto in questi ultimi tempi. Insulti alla sua persona, alle sue origini e al suo ruolo all’interno del governo. E lei, ieri, ha risposto. Ha ringraziato i militanti democratici e tutti quelli che l’hanno sostenuta in queste settimane. Anche se, come ha precisato, non è un problema solo suo. E soprattutto un problema culturale. “Siccome la pensiamo tutti uguale – ha detto il ministro riferendosi alla sua platea – allora devo dire che siamo tutti colpevoli. Abbiamo la possibilità di scegliere se rimanere colpevoli o essere protagonisti e artefici di un cambiamento. Possiamo scegliere, e non lo devo fare da sola, lo dobbiamo fare insieme. Sento dietro di me una comunità presente, che mi ha sostenuta in tutti questi mesi. A chi ha voluto non far riconoscere la mia persona come ministra della Repubblica, da qui noi diamo questa risposta: io sono ministra della Repubblica italiana”. Una risposta ai tanti attacchi dei quali è stata oggetto, ma anche una presa di posizione su un tema più generale, quello sul riconoscimento della cittadinanza agli stranieri. “Non sono da sola perché non è la mia battaglia. La battaglia sulla cittadinanza che porto avanti, con tutti i rischi che ho avuto in questi tempi, è una battaglia del nostro partito. Non far passare questa riforma non è la sconfitta di Cécile, ma è la sconfitta nostra, del Partito democratico. Noi dovremo lavorare insieme. Per questo ho bisogno di ciascuno di voi”.

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