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Per tutti

31 Lug 2025

Costruire reti di accoglienza per conoscersi, comprendersi e diffondere un messaggio d’amore e di pace, al di là delle differenze di provenienza, genere, età, abilità… Questo forse in sintesi è quanto è emerso nell’incontro di luglio 2025 alla Casa delle Associazioni G. Bracconi di Rimini, promosso nel progetto Fami (Fondo asilo Migrazione e Integrazione 2021-2027) In.S.Qua.D.R.A., con capofila la Prefettura di Rimini e realizzato con la collaborazione di Carretera Central e VolontaRomagna.
Relatrice è stata Natascia Maesi, presidente nazionale Arcigay, che, a conclusione del Pride di Rimini, ci racconta l’urgenza di portare all’attenzione di cittadinanza e istituzioni i diritti fondamentali di tutti.

Negli anni 2000, perché è ancora cruciale parlare di tutela delle persone Lgbtqia+?

È un momento storico in cui assistiamo a un arretramento: l’Italia secondo l’Ilga – The International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association – perde ancora una posizione nella classifica dei paesi europei che tutelano le persone Lgbtqia+ e ne riconoscono i diritti. Nel nostro Paese non esiste una legge aggiornata sui percorsi di affermazione di genere, non esiste una legge che vieta gli interventi chirurgici senza consenso sui corpi delle persone intersessuali, non esiste una legge antidiscriminazioni basata sull’orientamento e sull’identità di genere e, da gennaio ad oggi, sono tantissimi i casi di femminicidio, transicidio, lesbicidio.
Rileviamo poi anche un tentativo di criminalizzare la genitorialità di coppie dello stesso genere, in particolare attraverso la legge Varchi che ha decretato la gestazione per altri – una pratica legale in oltre sessanta Paesi del mondo – un reato universale, quindi se la si utilizza si finisce sotto processo, si rischiano sanzioni pecuniarie molto elevate e soprattuto il carcere. Per questo è prioritario rimettere al centro dell’agenda politica il riconoscimento pieno della genitorialità di tutt*, è necessario parlare di adozione per tutt*, è necessario difendere persino il diritto ad abortire delle donne, il diritto di determinarsi delle persone trans e non binarie ed è opportuno proteggere le persone intersessuali da eventuali ingerenze sulle proprie scelte. Dobbiamo arginare la violenza di Stato che subiamo anche attraverso i discorsi di tantissimi politici e le alte cariche della nostra Repubblica.

Qual è la vostra risposta?

Al tavolo di oggi, c’erano volontari di enti diversi per fare rete. È importante costruire alleanze per contrastare questa deriva: a Rimini, oltre ad Arcigay, sono tante le associazioni che si battono per i nostri diritti.
Sono infatti temi che non riguardano soltanto le persone Lgbtqia+, perché quando si attaccano i diritti umani, si attacca al cuore la democrazia. Non è un caso che questa persecuzione nei nostri confronti, queste crociate ideologiche sui nostri corpi e sulle nostre vite per creare consenso politico, si uniscano anche a un tentativo di reprimere il dissenso e limitare la libertà di manifestazione.

Per questo scendete in piazza con i Pride?

I Pride nascono come manifestazioni di protesta, come rivolte contro un sistema oppressivo che spingeva le persone Lgbtqia+ a nascondersi, pena l’essere bersagli di violenze continuative. Sono giornate dell’orgoglio, ma anche della memoria. Ci ricordano i moti di Stonewall e di lottare non soltanto per i nostri diritti ma anche per quelli di tutte le persone marginalizzate. Al corso, oggi abbiamo parlato di persone migranti, con disabilità o discriminate per i loro corpi grassi o vecchi, abbiamo parlato di persone razzializzate per la fede religiosa, di antisemitismo e islamofobia. Sono temi che ci riguardano.

In controtendenza a chi considera che i Pride dovrebbero occuparsi solo di persone Lgbtqia+…

La nostra lotta è transfemminista e intersezionale: è una lotta contro tutte le discriminazioni che subiamo, in quanto donne, lesbiche, persone non bianche, povere, precarie… tutto questo va di pari passo. Nei nostri Pride non parliamo solo di adozioni, di matrimonio egualitario, di legge contro le discriminazioni, ma anche di antifascismo, di combattere il razzismo e l’abilismo. Per questo poniamo sempre attenzione anche all’accessibilità degli spazi.
Non può poi non passare dai Pride la denuncia del genocidio in corso a Gaza. E la critica forte alla strumentalizzazione dei nostri diritti Lgbtqia+.

In che senso?

Riteniamo si utilizzi in modo sbagliato la bandiera arcobaleno per giustificare violenza, apartheid, genocidi, segregazione, oppressione di popoli interi… Si giustifica la violenza sostenendo che questi popoli perseguono le persone Lgbtqia+. Non nascondiamo il fatto che ci siano Paesi in cui l’omosessualità viene criminalizzata, ma questo non deve essere un passe-partout per compiere atti violenti fino a genocidi.

Come vi attivate per rispondere a tutto questo?

Solo unendo le lotte, utilizzando la forza degli alleati, costruendo alleanze larghe con associazioni che si occupano di diritti umani, possiamo cambiare la cultura del nostro Paese. Così vogliamo portare la nostra rivoluzione d’amore. Il Pride è un momento in cui celebriamo la favolosità, la gioia. Portiamo in piazza i nostri percorsi caratterizzati da ostacoli e sofferenza ma anche da felicità. Sono percorsi di persone che si scelgono e si amano, che rispettano le loro relazioni nutrendole e proteggendole dalle aggressioni esterne.
Il Pride è infatti solo il momento culminante di un’attività che dura tutto l’anno. Le nostre associazioni costantemente offrono servizi alla comunità. Sono spazi di aggregazione e di socializzazione importantissimi dove ognuno può essere sé stesso. Sono poi uno strumento di pressione politica, luoghi dove fare proposte a chi decide, affinché le nostre amministrazioni possano essere sempre più accoglienti.

Qual è il ruolo dei volontari?

Chiediamo tanto alle nostre attiviste e ai nostri attivisti. Si espongono diventando facili bersagli, raccontando la propria storia personale, questo ha un costo emotivo molto alto. Siamo grati alle persone che si spendono perché ci credono e sanno che è dalle nostre gambe che passa il cambiamento. Se non ci occupiamo noi dei nostri diritti, se non li difendiamo noi, nessuno lo farà. Se non accetteremo la sfida di essere un po’ infestanti, contaminanti, nei confronti di altre realtà, queste continueranno a ignorare le nostre richieste.
Momenti come quelli di oggi mi fanno avere molta fiducia, perché c’erano tante persone e tante associazioni desiderose di dotarsi di una cassetta degli attrezzi per accogliere le persone Lgbtqia+ nel miglior modo possibile. Utilizzo spesso le parole di una famosissima presidente di Agedo, Rita De Santis: “Noi non siamo un mondo a parte, ma siamo parte del mondo. Etero o gay sono tutti figli miei”. Non c’è in fondo differenza, dobbiamo lottare insieme perché i diritti siano di tutti e non solo privilegi di alcuni. Ci riguarda.

Nella foto, a sinistra Natascia Maesi, presidente Arcigay Italia, a destra un momento della Pride week di Rimini

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